Moda Italia: si punta sull’export

Con il crollo della domanda interna del 2012 che ha visto scendere del 10% il fatturato, l’export sembra l’unica strada da seguire. Anche nei primi mesi del nuovo anno la situazione non migliora e si prevede che difficilmente i consumi interni registreranno una crescita. Durante un convegno, organizzato da Smi – Sistema Moda Italia in collaborazione con la banca per discutere proposte rivolte alla politica italiana relative alla valorizzazione del Tessile Moda “Made in Italy”, Gregorio De Felice, Chief Economist di Intesa Sanpaolo, ci spiega la situazione.

Per parlare di numeri, nel 2012 il fatturato del tessile – abbigliamento italiano è calato del 4,7% circa, con un -9,6% sul mercato interno mentre l’estero ha tenuto (+0,7%). A gennaio di quest’anno il fatturato interno è sceso del 7%, mentre quello estero è salito del 6,8%, per una flessione complessiva del 2,7%. L’abbigliamento (+3,2%) beneficia della domanda di beni di lusso sui mercati internazionali, mentre è il tessile (export -3,6% nel 2012) dove hanno maggior peso i mercati dell’Unione Europea. Inoltre c’è un dato fortemente negativo mai sperimentato tra le famiglie italiane fin dagli anni ’70, ovvero il crollo di oltre il 10% dei consumi di vestiario e calzature.

Considerando che il 2013 e il 2014 sono visti come anni di crescita a livello mondiale, l’arma vincente sembra essere solo ed esclusivamente l’export. Mentre la nostra politica ci mostra all’estero come un “Paese bloccato”, bisogna saper vendere l’immagine del “Made in Italy“. Spingere sul fronte internazionale dove risultano vincenti le imprese con un miglior posizionamento competitivo: più qualità, più marketing, più innovazione.

Il tema della necessità di accelerare i processi di internazionalizzazione delle imprese è stato affrontato, durante il convegno, anche da Paolo Zegna, presidente del comitato tecnico per l’internazionalizzazione di Confindustria, mentre il presidente Smi Michele Tronconi ha trattato tra l’altro l’annoso problema del cuneo fiscale che pesa sia sulle imprese che sui lavoratori e sulla loro capacità di consumo.

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