Non è amore se “Sei stupida”. Come riconoscere la violenza psicologica. Intervista a Roberta Bruzzone: “Non normalizzate umiliazioni e sminuimenti”

Esiste una forma di abuso silente e subdolo, spesso non compreso né riconosciuto. Una violenza impercettibile e mascherata. Non lascia lividi, ma scava voragini interiori, tanto invisibili quanto distruttive e pericolosamente ingabbianti: quella psicologica. In occasione del 25 novembre, Velvet Style ha avuto l’opportunità di intervistare la criminologa Roberta Bruzzone, per approfondire il tema della violenza di genere, che si sviluppa spesso all’interno delle dinamiche di coppia, e le sue implicazioni psicologiche e sociali.

Dottoressa, come si riconosce la violenza psicologica? Quali sono i segnali più comuni?

La violenza psicologica mira a mettere l’altro in una condizione di assoggettamento e, di conseguenza, di dipendenza. Si tratta di una forma di abuso che si basa inizialmente su un controllo progressivo di tutte le aree di funzionamento della persona: relazioni, famiglia, attività lavorative e momenti ludici. Il primo campanello d’allarme dovrebbe scattare quando, per mantenere la relazione, la vittima è costretta a rinunciare o a modificare progressivamente aspetti significativi della sua vita. Ad esempio, iniziano ad arrivare richieste mirate a limitare le uscite o a ridurre le opportunità di vita sociale al di fuori della coppia.

Si manifestano, dunque, forme coercitive mascherate da amore e interesse nei confronti della vittima, ma che in realtà rappresentano il prezzo da pagare per poter rimanere nella relazione. Questi segnali possono non essere riconosciuti nella loro vera natura, poiché inizialmente la vittima li interpreta come dimostrazioni di bene e trasporto. Tuttavia, in una relazione sana, questo tipo di richieste non esisterebbe: una relazione sana si nutre della libertà e del rispetto reciproco, senza sacrificare lo spazio necessario per l’identità di ciascun individuo.

Con il tempo, la violenza psicologica si fa più esplicita, mirando a destabilizzare la vittima e a farla dubitare di sé, delle proprie qualità e persino della propria percezione della realtà e dei propri ricordi. In questa fase, la negazione dell’evidenza diventa sempre più frequente, spingendo la vittima a convincersi di aver compreso o ricordato male determinate situazioni. Questo processo graduale la porta a sviluppare un’autocritica sempre più severa, convincendosi di avere un valore scarso e di non essere all’altezza del proprio partner.

A tutto ciò si aggiungono man mano frasi intimidatorie, come minacce, offese terribili, continue umiliazioni e denigrazioni, accompagnate dalla messa in discussione di tutte le aree di funzionamento della persona: “Non sei capace”, “Sei stupida”, “Non sei una buona mamma e moglie”, “Sei una professionista poco seria”.  Queste dinamiche si sviluppano a partire dalla fase iniziale di controllo e, con il tempo, diventa sempre più difficile difendersi e sganciarci da certe pressioni.

Non solo conseguenze emotive, ma anche fisiche?

Tutto ciò ha effetti terribili. Le conseguenze della violenza psicologica prolungata possono essere paragonate, a livello complessivo, a quelle del disturbo post-traumatico da stress, diagnosticato in ambito clinico. Questo disturbo influisce sia sul piano psicologico — generando ansia, depressione, continui flashback, timori, fobie, ossessioni e altri sintomi correlati — sia sul piano fisico. Le persone che subiscono violenza psicologica per un periodo prolungato tendono infatti a sviluppare sintomatologie come gastrite, disturbi alimentari, alterazioni del ciclo sonno-veglia, perdita di capelli e altri segnali legati all’esaurimento psicofisico.

Quanto è difficile per una vittima di violenza psicologica prendere consapevolezza della propria situazione?

La consapevolezza è sicuramente un passaggio determinante per cominciare a uscirne, ovvero rendersi conto che ciò che si sta vivendo non è normale. Il problema principale è che molte donne, complice ancora oggi un’impostazione ferocemente patriarcale a livello educativo e valoriale, sono convinte che, tutto sommato, essere umiliate, sminuite e sistematicamente limitate nelle proprie prerogative sia una sorta di consuetudine all’interno di una relazione con un uomo. Di conseguenza, molte fanno grande fatica a riconoscere nell’immediato la violenza che subiscono, poiché rientra, per loro, nel perimetro dell’ordinario essere trattate male e sentirsi in qualche modo sempre sbagliate. Rendersene conto, dunque, non è affatto scontato. Tuttavia, una volta compiuto questo passo, è fondamentale chiedere aiuto, perché uscire da questa condizione da sole è estremamente difficile.

Come aiutare una vittima di violenza psicologica?

Non bisogna mai perdere i contatti con lei, poiché l’obiettivo dei maltrattanti e dei manipolatori è proprio quello di isolare la persona. Restare vicini è fondamentale.